Dopo aver tradotto dal francese il libro di Raymond Queneau “Esercizi di stile” (Ed. Einaudi, 2014), Umberto Eco ne ha curato anche l’introduzione. In essa il grande semiologo sottolinea come questa opera, partendo dalla narrazione di un fatto banale, possa assurgere addirittura a vero capolavoro letterario tanto da competere con le migliori opere della letteratura francese.
Il libro narra in prima persona un fatto di per sé insignificante: un signore sale su un autobus e il suo sguardo coglie alcuni elementi dell’ambiente circostante. Lo stesso evento viene successivamente narrato utilizzando 99 stili letterari diversi come per dare adito a un infinito ripetersi di eventi della storia che nella loro identica, ma diversa successione narrativa, finiscono per costituirne la trama.
In questo gioco linguistico ripetitivo e vario cambia solo la “sensibilità” fenomenologica del protagonista che ripropone lo stesso fatto con modalità narrative differenti. Più che un esercizio di stile sembra di essere di fronte ad un’esercitazione mentale che, come una struttura cristallina poliedrica, restituisce la rifrazione della realtà sotto una luce diversa. La dimensione ontica è sempre la stessa, è la sua rielaborazione mentale che cambia perché incarnata sul piano della coscienza in modo differente attraverso molteplici sfaccettature.
Sorge allora spontanea la domanda: “Quali sono gli “esercizi di stile” ossia i punti di vista dei nostri alunni?” Spesso la nostra attenzione di insegnanti si rivolge ai programmi e ai contenuti disciplinari più che alle modalità interpretative adottate dai bambini.
Forse cambiare la prospettiva di analisi sarebbe già un interessante esercizio di personalizzazione verso la realizzazione di una scuola veramente inclusiva!
Mariangela Angeloni