Sul piano pedagogico e cognitivo, la classe può essere analizzata sotto due diversi punti di vista. Essa può essere considerata come un insieme eterogeneo di persone che si differenziano per intelligenze, esperienze, relazioni sociali, valori etici e sensibilità emotiva. In questo senso ogni alunno è “diverso e unico” e ciò induce a valorizzare la diversità mediante interventi didattici “personalizzati” affinché ciascuno possa esprimere le proprie attitudini. Per il raggiungimento di questa finalità i docenti adottano diverse strategie (uso di tablet o new media, Cooperative Learning, classe scomposta, Flipped Classroom, tecniche di studio etc.). Questo approccio di tipo “cognitivista o monista” soddisfa dunque il riconoscimento della diversità cerebrale. Esiste però un altro punto di vista che considera la classe composta da individui identici sul piano bio-ontologico (dotati cioè degli stessi organi e di una mente funzionante secondo i principi universali dello spazio/tempo interiori). Questo approccio, definibile “spiritualista o mentalista”, valorizza l’approccio “personalizzante” sottolineando più quello che accomuna gli esseri umani di ciò che li differenzia. Ciò permette di insegnare la dimensione mentale dell’attenzione, della riflessione, della comprensione, del ragionamento, della memorizzazione e della creatività poiché queste “operazioni mentali” funzionano in modo identico in tutti gli esseri umani. Per usare una metafora si potrebbe affermare che il cervello elabora dati/informazioni in modo differente (= diversità) secondo i dettami spazio-temporali che sono universali (= uguaglianza). E’ evidente a tutti che il treno (= cervello) funziona solo se ci sono i binari (= mente) su cui muoversi, altrimenti è un inutile ammasso ferroso. La didattica mentalista pertanto accomuna gli alunni in termini ontologici sottolineando ciò che non è osservabile sul piano clinico e psicologico. Spesso la valorizzazione delle diversità conduce “fuori strada” perché agisce sulle conseguenze del pensiero (= effetto) e non sulle cause che le determinano. Una “Buona Scuola” dovrebbe occuparsi e preoccuparsi della dimensione profonda dei suoi alunni piuttosto che di quella di superficie. Insomma, l’affermazione del “Piccolo principe” che “l’essenziale è invisibile agli occhi!” è vera anche in ambito pedagogico!
Pietro Sacchelli (2015)